[St. 23-26] |
libro i. canto xxiv |
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E ciò ve dico per questa ragione:
Il corno per incanto è fabricato,
E se alcun cavalliero è sì fellone,
Che dopo il primo suon sia spaventato,
Sempre seranne in sua vita pregione,
Chè a la Isola del Lago fia menato;1
Nè a cui spiace il finir, die’ cominciare:
Tre volte il corno se convien sonare.
Alle due prime incontra gran travaglia,
Pena e fatica troppo smisurata,
Et a ciascuna convien far battaglia;
Ma, suonando da poi la terza fiata,
Non bisogna adoprar brando nè maglia,
Che uscirà cosa tanto aventurata,
Qual, se campasti ancor de li anni cento2
In vostra vita, vi farà contento.
Da poi che il conte dalla dama intese
L’alta ventura e la gran meraviglia,
De trarla al fine entro al suo cor se accese,
Nè fra sè pensa o con altrui consiglia,
Ma con gran voluntà la man distese,
E prestamente il libro e il corno piglia;
E per meglio acconciarse a quella guerra,
La dama che avea in groppa pose a terra.
Poi messe a bocca il corno in abandono,
Come colui che ciò ben far sapiva.
Sembrava quasi quella voce un trono,
E ben da longe de intorno se odiva;
Et ecco nella fin del primo suono
Una gran pietra in due parte se apriva;
La pietra a cento braccia era vicina:
Tutta se aperse con molta ruina.
- ↑ T. seranno; Ml. e Mr. serone; P. saranne.
- ↑ Ml. scampasti.