[St. 39-42] |
libro i. canto xxiii |
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E sopra il braccio dextro lo percosse,
Come ebbe de improviso ad arivare,
E con tanta ruina lo commosse,
Che quasi il fece il brando abandonare.
Pensati se Ranaldo ora adirosse,
Che perder non vo’ tempo al racontare;
Forte cridando, giura a Dio divino
Che tutti non gli stima un vil lupino.
E se rivolta contra a Chiarïone,
E darli morte al tutto è delibrato;
Ma già per questo non resta Grifone,
Nè il lascia prender lena e trare il fiato.
Ecco Aquilante ariva alla tenzone,
Che era de stordigion già ritornato,
Ma non già al tutto, perchè veramente
Non s’accorgiea de gli altri duo nïente:
De gli altri duo che, ciascadun più fiero,
Stanno d’intorno Ranaldo a ferire;
Ciò non pensa Aquilante, quello altiero,
Ma sua battaglia destina finire.
Spronando a gran ruina il suo destriero,
Lascia sopra a Ranaldo un colpo gire
Tanto feroce, dispietato e crudo,
Che tagliò tutto per traverso il scudo.
Sotto il scudo la piastra del bracciale
Sopra un cor’ buffalino era guarnita;
La manica de maglie nulla vale,1
Chè gli fece nel braccio aspra ferita.
A’ circonstanti ciò parea gran male;
Sopra a gli altri Marfisa, quella ardita,
Va correndo, chè apena ritenuto
Se era sin ora di donargli aiuto.