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[St. 55-58] libro i. canto xxii 399

         Stata ero io presa duo giorni davanti,
     Quando giongemmo a l’ombroso vallone;1
     Io non avea giamai lasciato e’ pianti,
     Benchè me confortasse quel vechione.
     Eccote uscir del bosco tre giganti,
     Ciascuno armato e con grosso bastone;
     Un d’essi venne avanti e cridò forte:
     Gietti giù l’arme chi non vôl la morte.

         Stava la dama in questo ragionare
     Col conte Orlando, et ancora seguia,
     Però che li voleva racontare,
     Come e giganti l’ebbero in balia,
     E come il vecchio la volse aiutare;
     E lui fu morto e la sua compagnia,
     E sua ventura poi de parte in parte,
     Sin che soccorsa fu da Brandimarte;

         Ma nova cosa [che] ebbe ad apparire,
     Qual sturbò il ragionar della donzella;2
     Chè un cervo al verde prato vedean gire,
     Pascendo intorno per l’erba novella.
     Come era vago non potrebbi io dire,
     Chè fiera non fu mai cotanto bella;
     Quel cervo è della Fata del Tesoro,
     Ambe le corne ha grande e de fino oro.

         Lui come neve è bianco tutto quanto,
     Sei volte il giorno di corno se muta;3
     Ma de pigliarlo alcun non se dà vanto,
     Se forse quella fata non lo aiuta;
     Et essa è bella et è ricca cotanto,
     Che omo non ama e ciascadun riffiuta;
     Chè beltate e ricchezza a ogni maniera
     Per sè ciascuna fa la donna altiera.

  1. T., Ml. e Mr. giongemo.
  2. Ml., Mr. e P. omm. Qual.
  3. P. corna.