[St. 15-18] |
libro i. canto xxii |
389 |
Ha sette cinte e sempre nova intrata
Per sette torrïoni e sette porte,
Ciascuna piccoletta e ben ferrata.
Dentro a questo giron cotanto forte
Fo’ io piacevolmente impregionata,
Sempre chiamando, e notte e giorno, morte;
Nè altro speravo che desse mai fine
Al mio dolore e a mie pene meschine.
Di zoie e de oro e de ogni altro diletto
Ero io fornita troppo a dismisura,
Fuor de il piacer che si prende nel letto,
Del quale avea più brama e maggior cura;1
E il vecchio, che avea ben de ciò sospetto,
Sempre tenea le chiave alla cintura,
Et era sì zeloso divenuto,
Che avendol visto, non serìa creduto.
Perciò che sempre che alla torre entrava,
Le pulice scotea del vestimento,
E tutte fuor de l’uscio le cacciava;2
Nè stava per quel dì più mai contento,
Se una mosca con meco ritrovava;
Anzi diceva con molto tormento:
È femina, over maschio questa mosca?
Non la tenire, o fa ch’io la cognosca.
Mentre ch’io stavo da tanto sospetto
Sempre guardata e non sperando aiuto,
Ordauro, quel legiadro giovanetto,
Più volte a quella rocca era venuto,
E fatto ogni arte e prova; et in effetto
Altro mai che il castel non ha veduto;
Ma Amor, che mai non è senza speranza,
Con novo antiveder li die’ baldanza.
- ↑ Mr. E il.
- ↑ Mr. fuor del viso.