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orlando innamorato |
[St. 47-50] |
E per fingerti a me più grata e sciolta,1
Dama me desti de tanta beltate:
Quella me desti che adesso m’hai tolta,
Per farmi ora morir con crudeltate.
Odi, fallace, e il mio parlare ascolta:
Nocer non posso alla tua vanitate,
Ma sempre biasmarotti et in eterno
Di te me andrò dolendo nello inferno.
Così parlando sì forte piangia,
Che avria spezzato un sasso di pietate.
Il conte Orlando gran dolor n’avia,
E quella dama, con umanitate,
Dolcemente parlando gli dicia:
Molto me incresce di tua aversitate,
E debbo averte assai compassïone,2
Perchè a dolermi teco aggio cagione.
E vo’ che intendi se le cose istrane
Son date ad altri ancor dalla Fortuna.
Mio padre è re delle Isole Lontane,
Dove il tesor del mondo se raduna;
E tanto argento et oro ha in le sue mane,
Che altro tanto non è sotto la luna,
Nè ricchezza maggior al sol si vede;
Et io restavo a tanto bene erede.
Ma non se puote indivinar giammai
Quel che sia meglio a desïare al mondo.
Di re figliola e bella mi trovai,
Ricca de avere e de stato iocondo;
E ciò mi fu cagion de molti guai,
Come te contaraggio il tutto a tondo,
Perchè cognosci a quel che emmi incontrato,3
Che anzi alla morte alcun non è beato.
- ↑ T., Mr, e P. fuggirti; Ml. fingirti.
- ↑ Ml. haver; T. e Mr. havere.
- ↑ P. che m’è.