[St. 27-30] |
libro i. canto xxi |
373 |
E menò il terzo colpo assai maggiore,
Così come era, tutto invelenito,
E tanta fretta mena e tal furore,
Che Ranaldo non può prender partito.
Ma come piacque a l’alto Creatore,
Sempre ne l’elmo l’aveva ferito,
Chè, se l’avesse gionto in altro loco,
Seria durata la battaglia poco;
Però che avria spezzata ogni armatura:1
Ma l’elmo stette alle percosse saldo.
Turbato era Grifone oltra misura,
Nè mai fu de grande ira tanto caldo;
Ma d’altra parte a voi lascio la cura
Di pensar come stesse il pro’ Ranaldo;
Chè Mongibel non arde nè Vulcano,
Più che facesse il sir de Montealbano.
Sembravan gli occhi suoi faville accese,2
E parea nel soffiar tempesta e vento;
Cridando ad ambe man Fusberta prese,
E ferisce a Grifon con ardimento.
Sette armature non serian diffese,
Se non vi fosse stato incantamento;
Ma quella fatasone era sì forte,3
Che campò il giovanetto dalla morte.
Abenchè se stordì della percossa,
Et alle crine del destrier s’inchina;
E non avendo ancor l’alma riscossa,
Ranaldo lo ferì con gran ruina.
Ma il giovanetto, che avea tanta possa,
Et è guarnito di armatura fina,
Come risente, di nulla si cura,
E mena colpi grandi oltra misura.
- ↑ P. spezzato.
- ↑ Ml, Mr. e P. Sembrava. T. e Ml. faccole; P. fiaccole.
- ↑ T. fattasone.