[St. 35-38] |
libro i. canto xix |
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Mentre che l’uno e l’altro combattia,
Nè tra lor se cognosce alcun vantaggio,
La dolorosa gente che fuggia,
Gionge sopra di loro in quel rivaggio.
Re Galafron, che sempre li seguia
Con animo adirato e cor malvaggio,
Fermosse riguardando il crudo fatto:
Marfisa ben cognobbe al primo tratto.
Ma non cognosce il sir de Montealbano,
Che seco combattea con arroganza;
Iudica ben che egli è un omo soprano,
Di summo ardire e di molta possanza.
Guardando iscorse il destrier Rabicano,
Che fu del suo figliolo occiso in Franza;
Feraguto lo occise con gran pena,
Come sapeti, alla selva de Ardena.
Il vecchio patre assai si lamentava,
Come ebbe Rabicano il destrier scorto.
Per nome l’Argalia forte chiamava:
— O stella de virtute, o ziglio de orto,
Che più che la mia vita assai te amava:
È questo il traditor che ti m’ha morto?
Questo è ben quel malvaggio, a naso il sento,
Che ti tolse la vita a tradimento.
Ma sia squartata e sia pasto di cane
La mia persona, e sia polver di saldo,1
Se de tua morte per le terre istrane
Vantando se andarà questo ribaldo!
Così dicendo col brando a due mane
Va furïoso adosso di Ranaldo,
E lo ferisce con tanta ruina,
Che sopra al collo a quel destrier l’inchina.