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orlando innamorato |
[St. 15-18] |
E bench’io sappia e cognosca per certo
Che bastante non sono a darli aiuto,
Voglio mostrare a tutto il mondo aperto
Quanto a quel cor gentile io sia tenuto
A render guidardon di cotal merto;
Però che, come quivi fia venuto,
Con quei che il menan prenderò battaglia,
Benchè sian mille e più quella canaglia.
E quando io sia da quella gente occiso,1
Seràmi quel morir tanto iocondo,
Ch’io ne andarò di volo in paradiso,
Per starmi con Prasildo a l’altro mondo.
Ma quando io penso che serà diviso
Lui da quel drago, tutto mi confondo,
Poi ch’io non posso, ancor col mio morire,
Tuorli la pena di tanto martìre.
Così dicendo, il viso lacrimoso
Quel cavalliero alla terra abassava.
Ranaldo, odendo il fatto sì pietoso,
Con lui teneramente lacrimava,
E con parlar cortese et animoso,
Proferendo se stesso, il confortava,
Dicendo a lui: Baron, non dubitare,
Che il tuo compagno ancor puotrà campare.
Se dua cotanta fosse la sbiraglia,
Che qua lo conduranno, io non ne curo;
Manco gli stimo che un fascio di paglia,
E per la fè di cavallier te giuro
Ch’io te li scoterò con tal travaglia,2
Che alcun di lor non si terrà securo
De aver fuggita da mia man la morte,
Sin che sia gionto de Orgagna alle porte.