[St. 31-34] |
libro i. canto xvi |
293 |
Con romor sì diverso e tante crida
Passato han Drada, la grossa riviera,
Che par che il cel profondi e se divida.
Dietro alle due venìa l’ultima schiera;
Re Galifrone la governa e guida
Sotto alle insegne di real bandiera,
Che tutta è nera, e dentro ha un drago d’oro.
Or lui vi lascio, e dico de Archiloro,
Che fo gigante di molta grandezza,
Nè alcuna cosa mai volse adorare,
Ma biastema Macone e Dio disprezza,
E a l’uno e l’altro ha sempre a minacciare.1
Questo Archiloro con molta fierezza
Primeramente il campo ebbe assaltare;
Come un demonio uscito dello inferno
Fa de’ nemici strazio e mal governo.
Portava il Negro un gran martello in mano:
Ancude non fu mai di tanto peso;
Spesso lo mena, e non percote in vano,
Ad ogni colpo un Tartaro ha disteso.
Contra di lui è mosso il franco Uldano
E Poliferno, di furore acceso,
Con due tal schiere, che il campo ne è pieno;
Ciascuna è cento millia, o poco meno.
E quei duo re, non già per un camino,
Chè l’un de l’altro alora non se accorse,
Ferirno al Negro nel sbergo acciarino,2
E quel si stette di cadere in forse,
E fu per traboccar disteso e chino;
Ma quel ferir contrario lo soccorse,
Chè Poliferno già l’avea piegato,
Quando il percosse Uldano a l’altro lato.3
- ↑ T. e Ml. e a laltro.
- ↑ T. acciarrino.
- ↑ P. Uldan da.