[St. 31-34] |
libro i. canto xv |
277 |
Re Santaria davante in su l’arcione
Dal manco braccio la dama portava,
E stava a lui davanti il re Lurcone;
Poliferno et Uldano il seguitava.
Era a vedere una compassïone
La damigella come lacrimava;
Iscapigliata crida lamentando,
Ad ogni crido chiama il conte Orlando.
Oberto, Clarïone et Aquilante1
Erano entrati nella schiera grossa,
E di persona fan prodezze tante,
Quante puon farsi ad aver la riscossa;2
Ma le lor forze non eran bastante,
Tutta è la gente contra de lor mossa.
Ora Agricane in questo se risente:
Tranchera ha in mano, il suo brando tagliente.
Verso de Orlando nequitoso torna,
Per vendicare il colpo ricevuto;
Ma il conte vede quella dama adorna,
Che ad alta voce li domanda aiuto.
Là se rivolta, che già non soggiorna,
Chè tutto il mondo non l’avria tenuto;
Più de una arcata se puotea sentire
L’un dente contra a l’altro screcienire.3
Il primo che trovò, fo il re Lurcone,
Che avanti a tutti venìa per lo piano.
Il conte il gionse in capo di piatone,
Però che ’l brando se rivolse in mano;
Ma pur lo gettò morto dello arcione,
Tanto fo il colpo dispietato e strano.
L’elmo andò fraccassato in sul terreno,
Tutto di sangue e di cervello pieno.
- ↑ Ml. Chiarione.
- ↑ Mr. Quanto; Ml. haver la.
- ↑ Ml. screccenire; P. De l’un dente con l’altro scr.