[St. 27-30] |
libro i. canto xiv |
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Diceva quel vecchione: — Un giovenetto,
Conforto solo a mia vita tapina,
Mio unico figliolo e mio diletto,
Ad una casa che è quindi vicina,1
Con febre ardente se iace nel letto,
Nè per camparlo trovo medicina;
E se da te non prende adesso aiuto,
Ogni speranza e mia vita rifiuto.
La damigella, che è tanto pietosa,
Comincia il vecchio molto a confortare:
Che lei cognosce l’erbe et ogni cosa
Qual se apertenga a febre medicare.2
Ahi sventurata, trista e dolorosa!
Gran meraviglia la farà campare.
La semplicetta volge il palafreno3
Dietro a quel vecchio, che è de inganni pieno.
Ora sappiati che il vecchio canuto,4
Che in quella selva stava alla campagna,
Per prender qualche dama era venuto,
Come se prende lo uccelletto a ragna;
Per ciò che ogni anno dava di tributo
Cento donzelle al forte re de Orgagna.
Tutte le prende con inganno e scherno,
E prese poi le manda a Poliferno.
Però che ivi lontano a cinque miglia5
Sopra de un ponte una torre è fondata:
Mai non fo vista tanta meraviglia;
Chè ogni persona che è quivi arivata,
Dentro a quella pregion sè stesso piglia.
Quivi n’avea il vecchio gran brigata,
Che tutte l’avea prese con tale arte,
Fuor quella sol che fu di Brandimarte.
- ↑ Ml. e Mr. che quindi; P. quivi è.
- ↑ T. e Ml. apartenga.
- ↑ Ml. volgia.
- ↑ Ml. Hor sapiati che il; Mr. e P. Or sappiate che quel. —
- ↑ T. e Ml. lontana.