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[St. 27-30] libro i. canto xiv 259

         Diceva quel vecchione: — Un giovenetto,
     Conforto solo a mia vita tapina,
     Mio unico figliolo e mio diletto,
     Ad una casa che è quindi vicina,1
     Con febre ardente se iace nel letto,
     Nè per camparlo trovo medicina;
     E se da te non prende adesso aiuto,
     Ogni speranza e mia vita rifiuto.

         La damigella, che è tanto pietosa,
     Comincia il vecchio molto a confortare:
     Che lei cognosce l’erbe et ogni cosa
     Qual se apertenga a febre medicare.2
     Ahi sventurata, trista e dolorosa!
     Gran meraviglia la farà campare.
     La semplicetta volge il palafreno3
     Dietro a quel vecchio, che è de inganni pieno.

         Ora sappiati che il vecchio canuto,4
     Che in quella selva stava alla campagna,
     Per prender qualche dama era venuto,
     Come se prende lo uccelletto a ragna;
     Per ciò che ogni anno dava di tributo
     Cento donzelle al forte re de Orgagna.
     Tutte le prende con inganno e scherno,
     E prese poi le manda a Poliferno.

         Però che ivi lontano a cinque miglia5
     Sopra de un ponte una torre è fondata:
     Mai non fo vista tanta meraviglia;
     Chè ogni persona che è quivi arivata,
     Dentro a quella pregion sè stesso piglia.
     Quivi n’avea il vecchio gran brigata,
     Che tutte l’avea prese con tale arte,
     Fuor quella sol che fu di Brandimarte.

  1. Ml. e Mr. che quindi; P. quivi è.
  2. T. e Ml. apartenga.
  3. Ml. volgia.
  4. Ml. Hor sapiati che il; Mr. e P. Or sappiate che quel. —
  5. T. e Ml. lontana.