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[St. 47-50] libro i. canto i 15

       La damisella un gran crido mettia:
     Tapina me, ch’io sono abandonata!
     Ben Malagise alquanto sbigotia,
     Veggiendo che non era adormentata.
     Essa, chiamando il fratello Argalia,
     Lo tenìa stretto in braccio tutta fiata;1
     Argalia sonacchioso se sveglione,
     E disarmato uscì del pavaglione.2

       Subitamente che egli ebbe veduto
     Con la sorella quel cristian gradito,
     Per novità gli fu il cor sì caduto,
     Che non fu de appressarse a loro ardito.
     Ma poi che alquanto in sè fu rivenuto,
     Con un troncon di pin l’ebbe assalito,
     Gridando: Tu sei morto, traditore,
     Che a mia sorella fai tal disonore.

       Essa gridava: Legalo, germano,
     Prima ch’io il lasci, che egli è nigromante;
     Chè, se non fosse l’annel che aggio in mano,
     Non son tue forze a pigliarlo bastante.
     Per questo il giovenetto a mano a mano
     Corse dove dormiva un gran gigante,
     Per volerlo svegliar; ma non potea,3
     Tanto lo incanto sconfitto il tenea.

       Di qua, di là, quanto più può il dimena;
     Ma poi che vede che indarno procaccia,
     Dal suo bastone ispicca una catena,
     E de tornare indrieto presto spaccia;
     E con molta fatica e con gran pena
     A Malagise lega ambe le braccia,
     E poi le gambe e poi le spalle e il collo:
     Da capo a piede tutto incatenollo.4

  1. P. Tenialo.
  2. MI. e Mr. paviglione.
  3. P. poterlo. MI. e P. nol. - BO. P. legò.
  4. T., MI. e P. piedi.