[St. 75-78] |
libro i. canto xii |
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Poi che Tisbina ad Iroldo fo gionta,
Ritrovandol col capo ancora involto,
La cortesia di quel baron li conta,
E come solo ha un bacio da lei tolto.
Iroldo dal suo letto a terra smonta,
E con man gionte al celo adriccia il volto;
Ingenocchiato, con molta umiltate
Prega Dio per mercede e per pietate,
Che Lui renda a Prasildo guiderdone
Di quella cortesia dismisurata.1
Ma, mentre che lui fa la orazïone,
Cade Tisbina, e pare adormentata;
E fece il succo la operazïone2
Più presto ne la dama delicata;
Chè un debil cor più tosto sente morte3
Ed ogni passïon, che un duro e forte.
Iroldo nel suo viso viene un gelo,
Come vede la dama a terra andare,
Che avea davanti a gli occhi fatto un velo:
Dormir soave, e non già morte appare.
Crudel chiama lui Dio, crudel il celo,4
Che tanto l’hanno preso ad oltraggiare;
Chiama dura Fortuna, e duro Amore,
Che non lo occida, et ha tanto dolore.
Lasciàn dolersi questo disperato:
Stimar puoi, cavallier, come egli stava.
Prasildo nella ciambra se è serrato,
E così lacrimando ragionava:
Fu mai in terra un altro inamorato
Percosso da fortuna tanto prava?
Chè, se io voglio la dama mia seguire,
In piccol tempo mi convien morire.
- ↑ T. e Mr. ismisurata; P. sì smisurata.
- ↑ P. Chè.
- ↑ T. e Ml. presto.
- ↑ P. egli.