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[St. 75-78] libro i. canto xii 233

         Poi che Tisbina ad Iroldo fo gionta,
     Ritrovandol col capo ancora involto,
     La cortesia di quel baron li conta,
     E come solo ha un bacio da lei tolto.
     Iroldo dal suo letto a terra smonta,
     E con man gionte al celo adriccia il volto;
     Ingenocchiato, con molta umiltate
     Prega Dio per mercede e per pietate,

         Che Lui renda a Prasildo guiderdone
     Di quella cortesia dismisurata.1
     Ma, mentre che lui fa la orazïone,
     Cade Tisbina, e pare adormentata;
     E fece il succo la operazïone2
     Più presto ne la dama delicata;
     Chè un debil cor più tosto sente morte3
     Ed ogni passïon, che un duro e forte.

         Iroldo nel suo viso viene un gelo,
     Come vede la dama a terra andare,
     Che avea davanti a gli occhi fatto un velo:
     Dormir soave, e non già morte appare.
     Crudel chiama lui Dio, crudel il celo,4
     Che tanto l’hanno preso ad oltraggiare;
     Chiama dura Fortuna, e duro Amore,
     Che non lo occida, et ha tanto dolore.

         Lasciàn dolersi questo disperato:
     Stimar puoi, cavallier, come egli stava.
     Prasildo nella ciambra se è serrato,
     E così lacrimando ragionava:
     Fu mai in terra un altro inamorato
     Percosso da fortuna tanto prava?
     Chè, se io voglio la dama mia seguire,
     In piccol tempo mi convien morire.

  1. T. e Mr. ismisurata; P. sì smisurata.
  2. P. Chè.
  3. T. e Ml. presto.
  4. P. egli.