228 |
orlando innamorato |
[St. 55-58] |
Tanto quella convengo differire
Ch’io solva di Prasildo la promessa,[1]
Quella promessa che mi fa morire;
Poi me darò la morte per me stessa.
Con te ne l’altro mondo io vo’ venire,
E teco in un sepolcro serò messa.
Così ti prego ancora, e strengo forte,
Che morir meco vogli de una morte.
E questo fia de un piacevol veneno,
Il qual sia con tale arte temperato,
Che il spirto nostro a un ponto venga meno,
E sia cinque ore il tempo terminato;
Chè in altro tanto fia compiuto e pieno
Quel che a Prasildo fo per me giurato.
Poi con morte quïeta estinto sia
Il mal che fatto n’ha nostra pacìa.
Così della sua morte ordine dànno[2]
Quei duo leali amanti e sventurati,
E col viso apoggiato insieme stanno,
Or più che prima nel pianto afocati,
Nè l’un da l’altro dipartir se sanno,
Ma così stretti insieme ed abbracciati.[3]
Per il venen mandò prima Tisbina
Ad un vecchio dottor di medicina.
Il qual diede la coppa temperata,
Senz’altro dimandare alla richiesta.
Iroldo, poi che assai l’ebbe mirata,
Disse: Or su, chè altra via non c’è che questa,
A dar ristoro a l’alma adolorata.
Non mi serà Fortuna più molesta,
Chè morte sua possanza al tutto serba:
Così se doma sol quella superba.
- ↑ MI. solva.
- ↑ T. ordino.
- ↑ P. Ma, così.... abbracciati, Per (cfr. peraltro il Berni).