[St. 51-54] |
libro i. canto xii |
227 |
Ma piacciati indugiar sin ch’io sia morto,
Che serà solamente questo giorno.
Facciami quanto vol Fortuna torto,
Ch’io non avrò mai, vivo, questo scorno,
E nello inferno andrò con tal conforto,
De aver goduto solo il viso adorno;
Ma quando ancor saprò che me sei tolta,
Morrò, se morir pôssi un’altra volta.1
Più lungo avria ancor fatto il suo lamento,
Ma la voce mancò per gran dolore;
Stava smarito e senza sentimento,
Come de il petto avesse tratto il core.
Nè avea di lui Tisbina men tormento,
Ed avea perso in volto ogni colore;
Ma, avendo esso la faccia a lei voltata,
Così rispose con voce affannata:
Adunque credi, ingrato a tante prove,
Ch’io mai potessi senza te campare?
Dove è l’amor che me portavi, e dove
È quel che spesso solevi iurare,
Che, se tu avesti un celo, o tutti nove,
Non vi potresti senza me abitare?
Ora te pensi de andar nello inferno,2
E me lasciare in terra in pianto eterno?
Io fui e son tua ancor, mentre son viva,
E sempre serò tua, poi che sia morta,
Se quel morir de amor l’alma non priva,
Se non è in tutto di memoria tolta.3
Non vo’ che mai se dica, o mai se scriva:
Tisbina senza Iroldo se conforta.
Vero è che de tua morte non mi doglio,
Perchè ancora io più in vita star non voglio.
- ↑ Mr. Facimi.
- ↑ P. Or ti pensi d’andare.
- ↑ MI. al tutto; P. al tutto la memoria storta.