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[St. 39-42] libro i. canto i 13

       Or con queste arme il suo patre il mandò,
     Stimando che per quelle il sia invincibile,
     Ed oltra a questo uno anel li donò
     Di una virtù grandissima, incredibile,1
     Avengachè costui non lo adoprò;
     Ma sua virtù facea l’omo invisibile,
     Se al manco lato in bocca se portava:2
     Portato in dito, ogni incanto guastava.

       Ma sopra a tutto Angelica polita
     Volse che seco in compagnia ne andasse,
     Perchè quel viso, che ad amare invita,
     Tutti i baroni alla giostra tirasse;
     E poi che per incanto alla finita
     Ogni preso barone a lui portasse:
     Tutti legati li vol nelle mane
     Re Galifrone, il maledetto cane.

       Così a Malagise il dimon dicia,3
     E tutto il fatto gli avea rivelato.
     Lasciamo lui: torniamo a l’Argalia,
     Che al Petron di Merlino era arivato.
     Un pavaglion sul prato distendia,4
     Troppo mirabilmente lavorato;
     E sotto a quello se pose a dormire,
     Chè di posarse avea molto desire.

       Angelica, non troppo a lui lontana,
     La bionda testa in su l’erba posava,
     Sotto il gran pino, a lato alla fontana:
     Quattro giganti sempre la guardava.
     Dormendo, non parea già cosa umana,5
     Ma ad angelo del cel rasomigliava.
     Lo annel del suo germano aveva in dito,
     Della virtù che sopra aveti odito.

  1. MI. e Mr. vertù, e cosi al v. 6 e 82.
  2. P. lo portava.
  3. MI. Ciò... dimonio. P. Si a M: il Demonio.
  4. MI. e P. padiglion. Mr. pavilion.
  5. MI. e Mr. paria.