[St. 19-22] |
libro i. canto xii |
219 |
— Odeti, fiori, e voi, selve, (dicia),
Poi che quella crudel più non me ascolta;
Dati odïenza alla sventura mia.
Tu, sol, che hai mo del cel la notte tolta,
Voi, chiare stelle, e luna che vai via,
Oditi il mio dolor solo una volta:
Chè in queste voce estreme aggio a finire
Con cruda morte il lungo mio martìre.
Così farò contenta quella altiera,
A cui la vita mia tanto dispiace,
Poi che ha voluto il celo un’alma fiera
Coprire in viso de pietose face.1
Essa ha diletto che un suo servo pera,
Ed io me occiderò, poi che li piace;
Nè de altre cose aggio io maggior diletto,
Che di poter piacer nel suo cospetto.
Ma sia la morte mia, per Dio, nascosa
Tra queste selve, e non se sappia mai
Che la mia sorte è tanto dolorosa,
(Nè mai palese non me lamentai);
Chè quella dama in vista grazïosa
Potria de crudeltà colparsi assai;
Ed io così crudel l’amo a gran torto,
Ed amarolla ancor poi che io sia morto.
Con più parole assai se lamentava
Quel baron franco, con voce tapina,
E dal fianco la spada denudava,2
Palido assai per la morte vicina;
E il suo caro diletto ognior chiamava.
Morir volea nel nome di Tisbina;
Chè, nomandola spesso, gli era aviso
Andar con quel bel nome in paradiso.
- ↑ T., Ml. e Mr, pietose.
- ↑ Ml. da il fianco la spada denudava; Mr. da il f. la a. nudava; P. dal f. la s. si nudava.