[St. 43-46] |
libro i. canto xi |
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Nè lui se può da tanti riparare,
Dardi e saette adosso li piovia;
Re Sacripante sol gli dà che fare,
E li altri lo tempestan tutta via.
Rotto è il cimer, chè penne non appare,
E il scudo fraccassato in braccio avia;
L’elmo di sasso al capo li risuona,
De arme lanciate ha piena la persona.
Qual, stretto dalla gente e dal romore,
Turbato esce il leon della foresta,
Che se vergogna di mostrar timore,
E va di passo torciendo la testa;
Batte la coda, mugia con terrore,
Ad ogni crido se volge ed arresta:
Tale è Agricane, chè convien fuggire,
Ma ancor fuggendo mostra molto ardire.
Ad ogni trenta passi indietro volta,
Sempre minaccia con voce orgogliosa;
Ma la gente che il segue è troppo molta,
Chè già per la cità se scia la cosa,
E da ogni parte è qui la gente acolta.1
Ecco una schiera che se era nascosa,
Esce improviso, come cosa nova,
Ed alle spalle a quel re se ritrova.
Ma ciò non puote quel re spaventare,
Che con furia e roina se è adricciato.
Pedoni e cavallier fa a terra andare;
Prende il brando a due mane il disperato.
Or quivi alquanto lo voglio lasciare,
Et a Ranaldo voglio esser tornato,
Che da Rocca Crudele è già partito,
E sopra al mar camina a piè sul lito.