[St. 11-14] |
libro i. canto xi |
203 |
Nè sì spesso la pioggia, o la tempesta,
Nè la neve sì folta da il cel cade,
Quanto in quella battaglia aspra e molesta,
Se odino spesso e’ colpi delle spade.
E’ da l’arcion son sangue insin la testa:
Mai non se vide tanta crudeltade.
Ciascun de cento piaghe è sanguinoso,1
E cresce ognor lo assalto furïoso.
Vero è che Sacripante sta pur peggio,
Perchè versa più sangue il fianco fore;
Ma lui della sua vita fa dispreggio,2
E riguardando Angelica, il bel fiore,
Fra sè diceva: "O re del celo, io cheggio
Che quel ch’io faccio per soperchio amore
Angelica lo veda, e siagli grato;
Poi son contento di morir nel prato.
Io son contento al tutto de morire,
Pur ch’io compiaccia a quella creatura.
Oh se lei nel presente avesse a dire:
Certo io son ben spietata e troppo dura,
Facendo un cavallier de amor perire,
Che per piacermi sua vita non cura!
Se ciò dicesse, ed io fossi acertato,
E morto e vivo poi serìa beato."3
E sopra a tal pensier tanto se infiama,4
Chè non fu cor giamai così perverso;
Ad ogni colpo Angelica pur chiama,
E mena il brando a dritto ed a roverso.
Altro non ha nel cor che quella dama:
Piaga non cura, o sangue che abbia perso;
Ma pur il spirto a poco a poco manca,
Benchè nol sente, ed ha la faccia bianca.
- ↑ T. e Ml. de vinte.
- ↑ P. Benché de la.
- ↑ Mr. Morto e.
- ↑ P. S’infiamma a tal pensier, ed arde, ed ama.