[St. 23-26] |
libro i. canto i |
9 |
Ogni barone e principe cristiano
In quella parte ha rivoltato il viso,
Nè rimase a giacere alcun pagano;
Ma ciascun de essi, de stupor conquiso,
Si fece a la donzella proximano;
La qual, con vista allegra et con un riso
Da far inamorare un cor di sasso,
Incominciò così1, parlando basso:
— Magnanimo segnor, le tue virtute,
E le prodezze de’ toi Paladini,
Che sono in terra tanto cognosciute,
Quanto distende il mare e’ soi confini,
Mi dan speranza che non sian perdute
Le gran fatiche de duo peregrini,
Che son venuti dalla fin del mondo
Per onorare il tuo stato giocondo.
Ed acciò ch’io ti faccia manifesta,
Con breve ragionar, quella cagione
Che ce ha condotti alla tua real festa,
Dico che questo è Uberto dal Leone,
Di gentil stirpe nato e d’alta gesta,
Cacciato del2 suo regno oltra ragione:
Io, che con lui insieme fui cacciata,
Son sua sorella, Angelica nomata.
Sopra alla Tana ducento giornate,
Dove reggemo il nostro tenitoro3,
Ce fôr di te le novelle aportate,
E della giostra e del gran concistoro
Di queste nobil gente qui4 adunate;
E come nè città, gemme o tesoro
Son premio de virtute5, ma si dona
Al vincitor di rose una corona.
- ↑ T. costei.
- ↑ Ml. e Mr. dal.
- ↑ T. territoro.
- ↑ T., Ml. e Mr. ivi.
- ↑ Ml. e Mr. vertute.