[St. 15-18] |
libro i. canto ix |
169 |
Ella si stava ne l’aria sospesa,
E ingenocchiata diceva: Barone,
Sopra d’ogni altra doglia il cor mi pesa
Che tu sia gionto qui per mia cagione.
Ben ti confesso ch’io son tanto accesa,
Ch’io potrebbi uscir fuor d’ogni ragione;1
Ma che nocer potessi a tua persona,
Questo pensiero al tutto lo abandona.
Fu la mia stima che con tuo diletto,
Con apiacere e riposo e con zoglia2
Fussi condotto avanti al mio cospetto;
Ora te vedo de cotanta noglia
E da periglio estremo sì costretto,
Che quasi mi ne uccido di gran doglia;
Ma sia ogni timor pur da te rimosso,3
Ch’io il seppi ad ora che campar ti posso.
Non te rincresca de venirmi in braccio,
Che via per l’aria te possa portare.4
Vedrai di terra uno infinito spaccio
Sotto a’ tuoi piedi in un punto passare;
Te potrai far de un alto disio saccio,5
Se mai ti venne voglia di volare.
Vien, monta sopra a me, baron gagliardo:
Forse non son peggior del tuo Baiardo.
Era Ranaldo tanto addolorato,
Che con gran pena la puoteva odire.
Pur li rispose: Per lo Dio beato,
Più son contento di dover morire,
Che per tuo mezo vederme campato;
E quando non ti vogli pur partire,
Di questo loco me voglio giettare:
Or statte e vanne, e fa come ti pare.
- ↑ P. Ch’io uscir potrebbi.
- ↑ P. Con piacere e riposo, e con gran.
- ↑ Ml. Ma sia pur già; P. sia già ogni timor da.
- ↑ P. io ti.
- ↑ T. spatio-satio.