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orlando innamorato |
[St. 11-14] |
Ora voglio a Ranaldo ritornare,
Che era condutto a caso tanto scuro,
Che della morte non potea campare:
Perduto ha il brando, che ’l facea sicuro.
Fuggendo intorno, ogni cosa ha a guardare;
Ed ecco avanza, quasi a mezo ’l muro,
Un travo fitto dece piedi ad alto.
Prese Ranaldo un smisurato salto,
E gionse al travo, e con la man l’ha preso,
Poi con gran forza sopra li montava;
Così tra celo e terra era sospeso.
Or quel monstro crudel ben furïava;
Avenga che sia grosso e di tal peso,1
Spesso vicino a Ranaldo saltava,
E quasi alcuna volta un poco il tocca:
Pare a Ranaldo sempre esserli in bocca.
Era venuta già la notte bruna.
Stassi Ranaldo a quel legno abracciato,
Nè scia veder qual senno o qual fortuna
Lo possa di quel loco aver campato.
Ed ecco, sotto il lume de la luna,
Però che era sereno e il cel stellato,
Sente per l’aria non sa che volare:
Quasi una dama ne l’ombra li pare.
Angelica era quella, che venia2
Per dar soccorso al franco cavalliero;
Poi che in faccia Ranaldo la vedia,3
Giettarsi a terra prese nel pensiero,
Perchè tanto odio a quella dama avia,
Che più non li dispiace il monstro fiero:
Ello esser morto stima minor pene
Che veder quella che a campare il viene.4
- ↑ P. gran peso.
- ↑ P. quella che venia, Per.
- ↑ Ml. e P. Ranaldo in faccia.
- ↑ Ml. li viene; P. campar lo.