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[St. 7-10] libro i. canto ix 167

        Traditor, crudo, perfido, ribaldo,
     Che ancora ardisci a dimorarmi a canto,
     Ed hai condotto il tuo cugin Ranaldo
     Vicino a morte, con periglio tanto!
     Ma se l’aiuto non gli dài di saldo,
     Non ti valran demonii, nè tuo incanto;1
     Chè incontinente ti farò bruciare,
     E la tua polver giettarò nel mare.

        Non pigliar scusa, falso truffatore,
     De aver ciò fatto per la mia querella.
     Ora non era partito megliore
     Che, avendo uno a morire, io fossi quella?
     Lui di beltate e di prodezza è il fiore,
     Io vile e sciagurata feminella.
     Ma, oltra a questo, non debbi pensare
     Che senza lui io non puotria campare?

        Diceva Malagise: Ancor soccorso,
     Volendo tu, se li potrà donare;
     Ma te bisogna prender questo corso,
     E tu sia quella che il vada a campare;
     Che, benchè sia crudel più che alcuno orso,
     A suo dispetto converratti amare;
     Sì che spazzati pure e sii ben presta,
     Chè nostra indugia forse lo molesta.

        Così dicendo li porgie una corda,
     Di lacci ad ogni palmo ragroppata,
     E una gran lima, che segava sorda,
     E uno alto pan di cera impegolata:2
     Come le debbia adoprar, li racorda.3
     Angelica dal vento è via portata,
     Sopra a un demonio, che ha la faccia nera;
     A Crudel Rocca gionse quella sera.

  1. Ml. val[e]rà; Mr. varan.
  2. Ml. e P. sei; Mr. e lei.
  3. Ml. e Mr. la ricorda (l’aricorda?).