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[St. 59-62] libro i. canto viii 163

        Ne l’ungie e dente avea cotanta possa,
     Che piastra o maglia non li può durare;
     E la pelle sì dura e tanto grossa,
     Che nulla cosa la potria tagliare.
     Questa bestia feroce ora se è mossa,
     E va con furia Ranaldo a trovare
     Su duo piè ritta, con la bocca aperta.
     Mena Ranaldo un colpo con Fusberta,

        E proprio a mezo il muso l’ebbe còlta.
     Or par di foco la bestia adirata,
     E con più furia a Ranaldo rivolta
     Con la mano alta tira una ciampata.
     Troppo non gionse avanti quella volta,
     Ma quanta maglia prese, ebbe stracciata,
     Tanto avea duro il dispietato ungione!
     Sino alla carne disarmò il barone.

        Ora per questo Ranaldo non resta:
     Benchè abbia il peggio, pur non si spaventa;
     Tira a due mani al dritto della testa.
     Quella bestia crudel par che non senta,
     Anzi a ogni colpo mena più tempesta;
     Salta de intorno, nè giamai se allenta:
     Or de una zampa, ora de l’altra mena
     Con tal prestezza che si vede apena.

        In quattro parte è già il baron ferito,
     Ma non ha il mondo così fatto core;
     Vedesi morto, e non è sbigotito:
     Perde il suo sangue, e cresce il suo furore.
     Lui certamente avea preso il partito
     Che al disperato caso era megliore;
     Però che, se nol fa il mostro perire,1
     Pur lì di fame li convien morire.

  1. P. se non fa.