[St. 51-54] |
libro i. canto viii |
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Non se trovò più om tanto sicuro,
Che dentro a quella chiesa1 voglia entrare;
Cinger poi la feci io d’un forte muro,
Quello2 sepolcro a ingegno disserrare.
Uscinne un monstro contrafatto e oscuro,
Tanto che alcun non li ardisce a guardare:
La orribil forma sua non te descrivo,
Perchè sarai da lui di vita privo.
Noi poi servamo così fatta usanza,
Che ciascun giorno qualcuno è pigliato,
E lo gettamo dentro a quella stanza,
Perchè la bestia l’abbia devorato.
Ma tanto3 ne pigliamo, che ne avanza;
Alcun se scanna, alcun vien impiccato;
Squartansi vivi ancora alcuna fiata,
Come veder potesti in su la entrata.
Poi che la usanza cruda, ismisurata,
Fu per Ranaldo pienamente intesa,
E l’orribil cagione e scelerata
Che fie’ la bestia, a chi non val diffesa,
Rivolto a quella vechia4 dispietata,
Disse: Deh! matre, non mi far contesa.
Concedime, per Dio, che dentro vada,
Armato come io sono, e con la spada. -
Rise la vecchia e disse: Or pur ti vaglia!
Quante arme vôi, ti lasciarò portare;
Chè il mostro con suo dente il ferro taglia,
Nè contra alle ungie sue se pote armare.
A te convien morir, non far battaglia,
Chè la sua pelle non se può tagliare;
Ma, per fare il tuo peggio, io son contenta,
Perchè la bestia più lo armato5 stenta.
- ↑ 2. T. e Ml. chiesia.
- ↑ 4. P. E quel.
- ↑ 13. T., Ml. e Mr. tanto.
- ↑ 21. T. estia d.
- ↑ 32. Ml., lo armato più.