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158 orlando innamorato [St. 39-42]

        Duo fanciulletti avevo di Marchino;
     Il primo lo scanai con la mia mano.
     Stava a guardarme l’altro piccolino,
     E dicea: Matre, deh per Dio! fa piano.
     Io presi per li piedi quel meschino,
     E detti il capo a un sasso prossimano.1
     Te par ch’io vendicassi il mio dispetto?
     Ma questo fu un principio, e non lo effetto.

        Quasi vivendo ancora lo squartai;
     De il petto a l’uno e a l’altro trassi il core.
     Le piccolette membra minuzzai:
     Pensa se, ciò facendo, avia dolore!
     Ma ancor mi giova ch’io mi vendicai.
     Servai le teste, non già per amore,
     Chè in me non era amor, nè anco pietade:
     Servalle per usar più crudeltade.

        Quelle portai qua suso de nascoso;
     La carne che feci io, poi posi al foco:
     Tanto potè lo oltraggio dispettoso!2
     Io stessa fui beccaro, io stessa coco.
     A mensa li ebbe il patre doloroso,
     E quelle se mangiò con festa e gioco.
     Ahi crudel sole, ahi giorno scelerato,
     Che comportò veder tanto peccato!

        Io mi parti’ dapoi nascosamente,
     Le mani e il petto di sangue macchiata.
     Al re de Orgagna andai subitamente,
     Che già lunga stagion m’aveva amata
     (Era costui della Stella parente),
     E racontai l’istoria dispietata.
     Quel re condussi io armato in su l’arcione3
     A far vendetta del morto Grifone.

  1. T. al capo; Mr. del capo; P. al capo un.
  2. T. puote; Mr. potte.
  3. P. omm. io.