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orlando innamorato |
[St. 39-42] |
Duo fanciulletti avevo di Marchino;
Il primo lo scanai con la mia mano.
Stava a guardarme l’altro piccolino,
E dicea: Matre, deh per Dio! fa piano.
Io presi per li piedi quel meschino,
E detti il capo a un sasso prossimano.1
Te par ch’io vendicassi il mio dispetto?
Ma questo fu un principio, e non lo effetto.
Quasi vivendo ancora lo squartai;
De il petto a l’uno e a l’altro trassi il core.
Le piccolette membra minuzzai:
Pensa se, ciò facendo, avia dolore!
Ma ancor mi giova ch’io mi vendicai.
Servai le teste, non già per amore,
Chè in me non era amor, nè anco pietade:
Servalle per usar più crudeltade.
Quelle portai qua suso de nascoso;
La carne che feci io, poi posi al foco:
Tanto potè lo oltraggio dispettoso!2
Io stessa fui beccaro, io stessa coco.
A mensa li ebbe il patre doloroso,
E quelle se mangiò con festa e gioco.
Ahi crudel sole, ahi giorno scelerato,
Che comportò veder tanto peccato!
Io mi parti’ dapoi nascosamente,
Le mani e il petto di sangue macchiata.
Al re de Orgagna andai subitamente,
Che già lunga stagion m’aveva amata
(Era costui della Stella parente),
E racontai l’istoria dispietata.
Quel re condussi io armato in su l’arcione3
A far vendetta del morto Grifone.
- ↑ T. al capo; Mr. del capo; P. al capo un.
- ↑ T. puote; Mr. potte.
- ↑ P. omm. io.