154 |
orlando innamorato |
[St. 23-26] |
Era la tana oscura e tenebrosa,
E sopra ad essa la fiumana andava;1
Una catena dentro vi era ascosa,
Che il caduto baron presto legava.2
E quel gigante già non se riposa;
Così legato in spalla sel portava,
A lui dicendo: E perchè davi impaccio
Al mio compagno? Et io te ho gionto al laccio.
Non respondia Ranaldo alcuna cosa,
Ma nella mente tristo ne dicia:3
Or ti par che fortuna ruïnosa
Una disgrazia dietro a l’altra invia!
Qual sorte al mondo è la più dolorosa
Non se paragia alla sventura mia,
Ch’in tal miseria mi vedo arivare,
Nè con qual modo lo sapria contare.
Così dicendo, già sono su il ponte
Che del crudel castello era l’intrata:
Teste de occisi nella prima fronte,
E gente morta vi pende apiccata;
Ma, quel che era più scuro, eran disiunte
Le membra ancora vive alcuna fiata.
Vermiglio è lo castello, e da lontano
Sembrava foco, ed era sangue umano.
Ranaldo sol pregando Idio se aiuta:
Ben vi confesso che ora ebbe paura.
Già davanti una vecchia era venuta,
Tutta coperta de una veste oscura,
Macra nel volto, orribile e canuta,
E di sembianza dispietata e dura.
Lei fa Ranaldo alla terra gettare
Così legato, e comincia parlare.4
- ↑ P. sopra d’essa.
- ↑ P. tosto.
- ↑ P. Tristo me! dicia.
- ↑ Ml. e P. parlare.