[St. 55-58] |
libro i. canto vii |
143 |
— Io son contento, per lo Dio Macone,
Disse Gradasso, e così te lo giuro.
Poi volta indrieto, e guarda il suo troncone,
Cinto di ferro e tanto grosso e duro,
Che non di tôrre Astolfo del ronzone,
Ma credia di atterrare un grosso muro.
Da l’altra parte Astolfo ben se afranca;
Forza non ha, ma l’animo non manca.
Già su la alfana se move Gradasso,
Nè Astolfo d’altra parte sta a guardare;
L’un più che l’altro viene a gran fraccasso,
A mezo ’l corso si ebbeno a scontrare.
Astolfo toccò primo il scudo abasso,
Che per nïente non volìa fallare:
Sì come io dissi, al scudo basso il tocca,1
E fuor de sella netto lo trabocca.
Quando Gradasso vede ch’egli è in terra,
Apena che a sè crede che il sia vero:
Ben vede mo che è finita la guerra,2
E perduto è Baiardo, il bon destriero.
Levasi in piede, e la sua alfana afferra,
Vòlto ad Astolfo, e disse: Cavalliero,
Con meco hai tu vinta la tenzone:3
A tuo piacer vien, piglia ogni pregione.
Così ne vanno insieme a mano a mano;
Gradasso molto li faceva onore.
Carlo nè i paladini ancor non sciano4
Di quella giostra che è fatta, il tenore;
Ed Astolfo a Gradasso dice piano
Che nulla dica a Carlo imperatore,
Ed a lui sol de dir lassi l’impaccio,
Chè alquanto ne vol prender di solaccio.
- ↑ P. il scudo basso tocca.
- ↑ Mr. che fenito la.
- ↑ P. hai pur tu.
- ↑ P. Nulla sa Carlo, l’Imperier Cristiano.