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[St. 31-34] libro i. canto vi 119

        Ma tanto è l’allegrezza de esser sciolto,1
     Che nulla cura quella passïone;
     Dalle man del gigante è presto tolto;
     Corre alla quercia, e piglia il gran bastone.
     Quel dispietato se turbò nel volto,
     Chè se ’l credea portar come un castrone:2
     Poi che altramente vede il fatto andare,
     Per forza se il destina conquistare.

        Come sapiti, essi hanno arme cambiate.
     Orlando teme assai della sua spada,
     Però non se avicina molte fiate;
     Da largo quel gigante tiene a bada.
     Ma lui menava botte disperate:
     Il conte non ne vol di quella biada;
     Or là, or qua giamai fermo non tarda,
     E da sua Durindana ben se guarda.

        Batte spesso il gigante del bastone,
     Ma tanto viene a dir, come nïente,
     Chè quello è armato d’ungie de grifone:3
     Più dura cosa non è veramente.
     Per lunga stracca pensa quel barone
     Che nei tre giorni pur sarà vincente;
     E mentre che ’l combatte in tal riguardo,
     Muta pensiero, e prende in mano un dardo.

        Un di quei dardi che lasciò il gigante;
     Orlando prestamente in man l’ha tolto.
     Non fallò il colpo quel segnor d’Anglante,
     Chè proprio a mezo l’occhio l’ebbe còlto.
     Un sol n’avea, come odisti davante,
     E quel sopra del naso in cima al volto:
     Per quello occhio andò il dardo entro al cervello;
     Cade il gigante in terra con flagello.4

  1. MI. e P. tanta.
  2. P. Che.
  3. T., Ml. e Mr. quel che armato.
  4. P. Cadde.