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[St. 63-66] libro i. canto v 105

        Risene Orlando, e preselo a pregare1
     Che per Dio l’abbia un poco ivi aspettato,
     E se nol vede presto ritornare,
     Via se ne vada senza altro combiato.
     Il termine de un’ora li ebbe a dare,
     Poi verso il scoglio rosso se n’è andato.
     Disse il gigante, veggendol venire:
     Cavallier franco, non voler morire.

        Quivi m’ha posto il re di Circasia,
     Perch’io non lasci alcuno oltra passare;
     Chè sopra al scoglio sta una fera ria,2
     Anzi un gran mostro se debbe appellare,
     Che a ciascadun che passa in questa via,
     Ciò che dimanda, suole indivinare;
     Ma poi bisogna che anco egli indivina
     Quel che la dice, o che qua giù il roina.3

        Orlando del fanciullo adimandone:
     Rispose averlo e volerlo tenire;
     Onde per questo fu la questïone,
     E cominciorno l’un l’altro a ferire.
     Questo ha la spada, e quell’altro il bastone:
     Ad un ad un non voglio i colpi dire.
     Al fine Orlando tanto l’ha percosso,
     Che quel si rese e disse: Più non posso.

        Così riscosse Orlando il giovanetto,
     E ritornollo al padre lacrimoso.
     Trasse il palmiero un drappo bianco e netto,
     Che nella tasca tenïa nascoso.
     Di questo fuor sviluppa un bel libretto,
     Coperto ad oro e smalto luminoso;
     Poi volto a Orlando disse: Sir compiuto,
     Sempre in mia vita ti serò tenuto.

  1. T. Risese; Ml. Rise.
  2. P. su lo.
  3. P. ch’ella.