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[St. 47-50] libro i. canto v 101

        Quello andò in fumo. Or non me domandate
     Se meraviglia Ranaldo se dona.
     Tutte le parte del legno ha cercate:
     Sopra al naviglio più non è persona.
     La vella è piena, e le sarte tirate;
     Camina ad alto e la terra abandona.
     Ranaldo sta soletto sopra al legno:
     Oh quanto se lamenta il baron degno!

       Ah Dio del cel, dicea, per qual peccato,
     M’hai tu mandato cotanta sciagura?
     Ben mi confesso che molto ho fallato,
     Ma questa penitenzia è troppo dura.
     Io son sempre in eterno vergognato,
     Chè certo la mia mente è ben sicura
     Che, racontando quel che me è accaduto,
     Io dirò il vero, e non serà creduto.

        La sua gente mi dette il mio segnore,
     E quasi il stato suo mi pose in mano:
     Io, vil, codardo, falso, traditore,
     Gli lascio in terra e nel mar me allontano;
     Ed or mi par d’odir l’alto romore
     Della gran gente del popol pagano;
     Parmi de’ miei compagni odir le strida,
     Veder parmi l’Alfrera che gli occida.

        Ahi Ricciardetto mio, dove ti lasso
     Sì giovanetto, tra cotanta gente?
     E voi, che pregion seti di Gradasso,
     Guicciardo, Ivone, Alardo mio valente?
     Or foss’io stato della vita casso,
     Quando in Spagna passai primeramente!
     Gagliardo fui tenuto e d’arme experto:
     Questa vergogna ha l’onor mio coperto.