riconosco da voi, ne sono a voi debitore; voi siete il mio vero padre: e però, come figliuol di famiglia, non posso dispor di nulle, se a voi non piace il darmene licenza”. Qui tacque; ed aspettò che i sospiri e le lacrime avessero lasciato rispondere al zio, come quel che faceva egli era ben fatto. Allora, volendolo far suo erede, lo pregò di accettare da lui le sue facoltà. Poi, volgendo il suo parlare alla moglie: “Sembianza mia, gli disse (così spesso la chiamava, per qualche antica convenzione passata fra loro), essendo stato unito con te per il santo vincolo del matrimonio, uno dei più reverendi ed inviolabili che Dio abbia ordinato quaggiù a conservazione della umana compagnia, io ti ho amato, ti ho voluto bene, e ti ho stimato quanto più ho potuto; e son certo che tu mi hai corrisposto: nè tanto che basti potrei ricompensartene. Ti prego che quella parte del mio, che io ti lascio, tu l’accetti e te ne contenti, contuttochè io sappia, bene non essere la ricompensa pari al merito”. In fine, parlando a me: “Fratel mio, disse, da me si commenta diletto, scelto fra tanti altri a rinnovellar teco quella virtuosa e schietta amistà, il cui uso per colpe del vizio è de sì lungo tempo perduto tra noi, che solo ne rimane qualche debol ricordo nella memoria dell’antichità, ti prego di accettare in dono la mia biblioteca e i miei libri, come piccolo segno del bene che ti voglio: il dono è piccolo, ma viene del cuore; e sta bene a te, che tanto amore hai per le lettere. E ti sarà un Mnemosinon tui sodalis1.” Poscia, par-
- ↑ Un ricordo del tuo amico.