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6 | lettera |
guajo, mi si raccomandò con le lacrime agli occhi che per quella sera non mi movessi. Allora rimasi; ed ella se ne mostrò proprio consolata. La mattina di poi venni via; e tornai a fargli visita il giovedì. Egli andava sempre di male in peggio: il flusso di sangue e i dolori di corpo, che lo indebolivano anche di più, rinforzavano da un momento all’altro. Il venerdì lo lasciai da capo: ci tornai il sabato, e lo trovai di già molto, prostrato. Egli mi disse che il suo male era un po’ contagioso, e per di più stomachevole e melancolico: “Conosco bene il tuo naturale: vienci per a momenti; ma tornaci più spesso che puoi”. Non lo lasciai più. Fino alla domenica non mi era mai entrato in che cosa pensasse del suo stato; e non parlavamo se non delle bisogne occorrenti alla sua malattia, e di ciò che ne avevano scritto i medici antichi. Di cose pubbliche a fatica; che fin dal primo giorno se ne mostrò stucco. La domenica fu preso da svenimento; e quando si fu riavuto disse ch’e’ gli era parso di essere come nel Caos, non aver altro veduto che una fitta nube, una bruna nebbia, dove tutto era in combutta e senza ordine; ma che tuttavia non gli era punto rincresciuto tutto questo caso. Ed io gli dissi: “La morte, credi, non è cosa più amara di questa”.
Da quel punto non avendo preso sonno da che s’ammalò, e con tutte le medicine dava sempre in peggio, tanto che già gli avean fatto pigliate certe bevande che non si danno, se non a chi è in fine, e’ si giudicò, e me lo disse. Il giorno stesso, parendo a tutti che fosse bene