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spese a lui e al suo padrone, ma per farlo godere il maggior contento che possa gustar un animo grande, di andar anco con buon guadagno vedendo il mondo. Pur tra gli uomini si truova chi di esse non tien conto alcuno, chi le disprezza, e fino chi come dannose le biasima e le perseguita. —

Di ordine poi di Apollo liberamente essendo stato il cerretano regalato e licenziato, alla presenza di Sua Maestá comparve un virtuoso, che, mentre visse al mondo, con l’amenitá del fertilissimo ingegno e con la piacevolezza de’ costumi essendo stato le delizie della corte romana, da ognuno fu riconosciuto per quel Baldo Cataneo, che ne’ sali delle facezie, nella gravitá delle cose serie, nella prosa e nel verso, dai virtuosi di quella corte tanto fu ammirato, che per suo libéralissimo mecenate meritò di avere quel munificentissimo Alessandro Peretti, cardinale Montalto, che di ricchezze e di onori lautamente accommodò la fortuna di quel segnalato letterato. Questo nobil poeta dunque ad Apollo presentò i primi canti della sua leggiadrissima Argonautica, poema da lui composto in ottava rima; e con abbondantissime lagrime piangendo l’acerbo infortunio dell’esserli mancata la vita nel piú bel fiore dell’etá sua, non per altra cagione disse che ’1 morire sommamente gli era stato spiacevole, eccetto perché immaturo li conveniva presentare a’ piedi della Maestá Sua quel frutto nato nello steril campo del suo ingegno, che, se piú lunga vita egli avesse avuta, fermamente sperava che gli anni talmente averebbono perfezionato, che piú che mediocremente saporito si sarebbe reso al gusto de’ letterati : calamitá la quale cagionava che quella immortalitá al suo nome, che per termine di rigorosa giustizia egli sperava di poter chieder in Parnaso, nella scarsezza del picciol suo merito e nella mala ventura di quel suo poema domandava per mera grazia. Al Cataneo con gesti e con parole di somma umanitá rispose Apollo che comune a lui e a’ virtuosi tutti di Parnaso era stato l’infortunio dell’immatura sua morte, ma che nelle benignissime leggi di Parnaso si consolasse, posciaché, per inanimir i suoi letterati alle fatiche di virtuosamente maneggiar la penna, piú avendo riguardo al buon animo, alla virtuosa intenzione de’ suoi dilettissimi poeti,