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infiniti sia abitata: e novitá li parve, che superasse tutte le umane maraviglie, l’udir che i popoli di lei allora abbiano il verno soverchiamente freddo e piovoso, che il sole hanno perpendicolare. Per le quali novitadi venne in chiara cognizione delle molte menzogne che ed egli e altri filosofi avevano pubblicate della zona torrida, e chiaramente conobbe quanto fallace cosa sia con le conietture e con gl’indici umani voler far certi e sicuri giudici delle meraviglie dalla potente mano di Dio fabbricate piene d’infiniti miracoli; e sommo gusto li diede ancora l’esser finalmente venuto in cognizione della vera cagione dell’accrescimento del Nilo, del quale in compagnia di altri filosofi si raccordava di aver dette molte sciocchezze. Seneca il tragico per immortai sua gloria mirabilmente si servi di tanta novitá accaduta in Parnaso, millantandosi per tutto che, inspirato da divino furor poetico, piú di mille e quattrocento anni prima co’ suoi famosi versi aveva predetto tanto scoprimento; e alcuni letterati che, ridendosi di lui, ebbero ardire di chiacchiarare che Seneca in quella sua tragedia aveva parlato a caso, provarono lo sdegno di Sua Maestá: il quale, stimando che con quella incredulitá le serenissime muse gravemente fossero state intaccate nell’onore, per molti giorni li fece abitar tra gl’ignoranti. Maggior gloria si acquistò Dante Aligieri, che ne’ suoi versi affermativamente aveva detto il polo antartico, all’etá sua non mai veduto da alcuno, essere un gran crociero. Questi tanto segnalati eroi il martedí passato alle venti ore nella real sala hanno avuta la pubblica udienza, assistendo alla persona d’Apollo le serenissime muse, anch’esse tirate ivi dalla virtuosa curiositá di veder in faccia quali fossero quegli uomini ch’avevano avuto cuore di non temer l’oceano adirato e di solcarlo, ancorché ignoto e pieno di secche, di scogli e di scanni, anco nella piú buia e tempestosa notte. Baciato che il Colombo ebbe l’ultimo scaglione del trono reale di Sua Maestá e le estreme fimbrie delle vesti delle serenissime muse, e fatta profonda riverenza al venerando collegio de’ letterati, con magnifica orazione ch’ebbe di sé e de’ suoi compagni, disse che i due gloriosissimi regi, Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, con molta profusion di oro ed effusion di sangue da’ cattolici regni di