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alcuna, dal Cartaro medesimo volle essere informato della veritá del fatto come passava, nella stessa audienza di quelli ambasciadori lo fece chiamare, e lo ricercò della cagione della sua improvisa e ascosa fuga dalla Laconia. Minutamente e con aperta veritá ad Apollo raccontò il Cartaro quanto col duce de’ laconici gli era accaduto; e soggionse poi che in qualsivoglia Stato di prencipe ereditario egli nel giudicare averebbe eseguita la volontá del suo signore, ma che in un principato elettivo come il laconico, dove cosi era vero che « òrevi moynento summa verti possunt »(i), che in un baleno vi si vedeva comandare chi poco prima aveva ubbidito, e dove i prencipi nuovi per l’ordinario o erano di genio diverso o di contraria fazione ai passati, allora che ’1 prencipe non solo per passione di odio privato, ma giustamente ancora travagliava soggetto alcuno grande, non doveva trovar né giudici né notai né sbirri che volesser servirlo: mercé che i prencipi nuovi, i quali per l’ordinario non approvano le azioni dei passati, allora che non possono batter l’asino del prencipe defunto, la rabbia tutta dell’odio loro crudele sfogano contro il basto del giudice e’ hanno nelle mani. E che ne’ delitti comandati dagli uomini grandi ed eseguiti dai piccioli, verissimo era il trito proverbio che « solo gli stracci andavano all’aria »: mercé che lo sfogar il veleno dell’odio rabbioso contro il sasso, quando non si poteva mordere la mano che l’aveva avventato, non era costume solo de’ cani insensati, ma degli uomini ancora ch’avevano giudicio. E che la sua dottrina intanto era vera, ch’egli parlava loro con l’infelice esempio di un caso seguito nella persona di un famosissimo dottore da Castel bolognese, contro il quale si scaricò la tempesta di quella rabbia, che non fu possibile isfogare contra que’ cani grossi che buoni denti avevano da mordere.

(i) Tacito, libro v degli Annali.

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