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RAGGUAGLIO LXXIV

Il nipote del prencipe de’ laconici ad Apollo chiede conseglio sopra la vita ch’egli doveva tenere in Laconia per starvi con sua maggior riputazione.

Quel nipote del prencipe de’ laconici, il quale, come l’ordinario passato fu scritto, per la renitenza dell’animo suo mal composto, con scandalo tanto universale dalla dominazione fece il passaggio alla vita privata, questa mattina, afflitto dal travaglio e consumato dai dispiaceri dell’animo, è ritornato in Parnaso; ed essendosi presentato avanti Sua Maestá, con agonia grande di cuore suffocato dal dolore. Le ha detto ch’egli con insopportabil suo travaglio pur alla fine verissimo provava quello che da’ suoi pili intimi e cari amici piú volte gli era stato raccordato: che la maggior parte degli uomini con tanto poca virtú di animo grato vivevano al mondo, che viziosamente solo amavano la fortuna, non la persona de’ prencipi loro benefattori. Vizio gravissimo, il quale cagionava l’orrendo spettacolo, che tanto affliggeva gli uomini virtuosi, di veder che con l’altrui buona fortuna cosi certamente mancavano gli amici, che con molta ragione il magno Tacito aveva ricordato che « intuta sunt adversa-»^^). Perché egli con insopportabil suo travaglio debolissima provava esser quella catena della munificenza, con la quale nel principato di suo zio si era forzato di allacciare e ligare numero quasi infinito di quegli amici, da’ quali aspettava la ricompensa di somma gratitudine; e che se vero era quello che verissimo con esso lui altri nipoti de’ prencipi elettivi avevano sperimentato, che la percossa dell’ingratitudine, l’offesa della discortesia fosse la piú mortale e crudel ferita che ad animo alcuno nobile potesse

(i) Tacito, libro xii degli Annali.