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RAGGUAGLIO XIII Giovanfrancesco Peranda con difficultá ottiene da Apollo di esser ammesso in Parnaso, e disprezza la proferta di Girolamo Fracastoro, che volea farli riavere la luce perduta degli occhi. Tutto che sieno giá passati molti anni che il signor Giovanfrancesco Peranda abbia fatto instanza appresso Sua Maestá d’esser ammesso in Parnaso, e che per ottener l’intento suo abbia adoperati mezzi potentissimi, Apollo nondimeno giammai non ha voluto compiacerlo, percioché, non altro portando egli in Parnaso che un volume delle sue lettere, Sua Maestá, che grandemente è stomacato di simil sorte di composizioni, disse che piú tosto era risoluto di levar dalla biblioteca la maggior parte degl’infiniti volumi di lettere che vi si trovano, che volesse aggiungervene pur uno de’ nuovi : percioché nella libraria delfica solo ricevendosi scritti d’invenzione e di lucubrate fatiche, gl’innumerabili volumi di lettere che vi si vedevano, altro non erano che ingombra scanzie, e che tutti gli uomini avendo il fomite dell’ambizione della gloria, e lo scrivere dei moderni secretari essendosi ridotto senza artificio al nudo termine di un parlar pensato, e non trovandosi uomo che non abbia negozi e che non sappia scrivere, Tesser facile nel l’ammetter in Parnaso ogni scrittor di lettere avrebbe cagionato l’importantissimo inconveniente che ogni soggetto, anco di mediocre letteratura, si sarebbe posto a far stampare volumi grandi delle sue lettere, solo per far sapere al mondo le miserie e le vili faccende della sua casa: errore di tanto peggior conseguenza, quanto in Parnaso l’immortalitá altrui non si vendeva per cosi buon mercato. E che a tanti rispetti si aggiungeva Tessersi scoperto che molti ambiziosi con la loro presunzione erano passati tant’oltre, che fino aveano ardito di pubblicar lettere false, scritte a quei re e a quei prencipi grandi ch’eglino non avevano giammai conosciuti di vista, non che con esso loro avessero avuto negozio alcuno. Falsitá tanto piú degna