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gli chiese la cagione perché, essendo egli solo in casa, faceva cosi gran preparamento di carbone. Gli rispose il Sanga ch’egli nella sua cucina non adoperava legne; lo interrogò allora il menante se forse ciò faceva perché avesse trovato l’uso del carbone di minore spesa. Alla qual domanda liberamente rispose il Sanga che, vivendo egli in corte, era forzato misurar le cose sue con l’avanzo della riputazione, non col guadagno del denaro; e che egli aveva in odio il* fuoco delle legne, perché facevano molto fumo e poca bracia; e che l’uso del carbone era mirabile per quelli che amavano che la minestra loro punto non sapesse di fumo; e che egli non si curava che da que’ bracchi che sono nati al mondo solo per odorare i fatti altrui, la qualitá del suo vitto fosse argomentata dalla quantitá del fumo che usciva dal camino della sua cucina, ma dalla tavola copiosamente imbandita. Dopo il Sanga entrò nel fondaco Epitteto filosofo, per la fama nella quale vive di una esatta bontá d’animo, molto stimato in Parnaso, e però dal menante grandemente conosciuto, ammirato e osservato. Questi chiese a’ giovani del fondaco che gli facessero vedere le sorti tutte delle pellicce che avevano; e incontanente ne li furono portate di dossi, di vari, di zibellini e d’altre sorti molto preziose; le quali percioché non piacquero a quel filosofo, ad un molto stringato politico che soprastava allo spaccio della roba, disse che le pelli che li mostravano erano troppo pompose, e però molto lontane dal suo bisogno: ma che desiderava una di quelle pellicce che portavano quei che volevano parer buone persone. Intese allora il politico il bisogno di Epitteto, e presolo per mano lo condusse in una stanza ritirata del fondaco, donde egli poco appresso usci vestito di una pelliccia di lupo cerviere foderata di pelle di agnelli; e perché la pelle di lupo, ch’era molto preziosa, aveva Epitteto posta di dentro e quella di agnello di fuori, il menante gli corse dietro e l’avverti ch’egli si aveva vestita la zimarra a roverscio. Ma molto confuso rimase il menante, quando quel sagace filosofo, dopo essersi ben riso di lui, cosi li rispose: — Ben può essere, menante mio, che tu ti intenda di