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quel reo fosse disciolto e liberato, e sentenziando nella causa di lui, disse che lo giudicava e dichiarava innocente; che però quanto prima ritornasse alla sua carica, dove, per eterna infamia del prencipe di Gnido, continuasse ad esercitare la vituperosa mercatanzia di vendere la giustizia, perché non era possibile proibire altrui il vender quello che si comperava. L’ultimo che comparve nella visita, fu il famoso Bartolomeo d’Alviano: del quale il giudice della causa fece relazione che in un disparere ch’egli ebbe con Giulio Cesare Scaligero, l’aveva chiamato vii letteratuccio. Apollo per lo grave eccesso dell’Alviano tanto si risenti, che con sdegno grande gli disse che se i suoi letterati, ornati di tante pregiate virtudi, colmi di tante scienze, e i quali de’ corsi de’ cieli, della virtú delle erbe, della proprietá delle piante, del valore de’ minerali e de’ miracoli tutti della natura avevano pienissima cognizione, non possedevano quella piú soprafina nobilita che può trovarsi tra gli uomini, quali erano quelli che meritavano di esser chiamati nobili? Forse gl’ignoranti? Forse que’ viziosi che fino alla gola essendo immersi nell’ozio, nel giuoco, nella crapula e nelle libidini, solo essendo pezzi di carne fracida con due occhi, altro non hanno di che possino pregiarsi che delle virtudi e della lunga gloria de’ loro antenati? E che se l’oro, per la virtú di non lasciarsi consumare dal fuoco, mangiare dalla ruggine, rodere dall’acqua forte e per altre sue rare qualitá meritamente era riputato il re de’ metalli: il diamante e il rubino per la incredibile durezza loro erano i prencipi delle gioie, per qual cagione i suoi virtuosi, che sopra tutti gli altri uomini tanto sapevano e tanto intendevano, dalle genti non meritavano di piú tosto esser chiamati semidei che re degli uomini? E che troppo differente cosa era nobilitar il corpo co’ vestiti di velluto e vestir l’animo co’ broccati d’oro delle piú preziose scienze. Appresso poi si rivoltò Apollo verso l’Alviano, e cosi gli disse: — I miei sempre celeberrimi Sabellico, Bembo, Giovio, Guicciardini, che tanto ti hanno, o Bartolomeo, con la penna loro illustrato, e le fatiche de’ miei virtuosi, che immortale ti hanno reso al mondo, quando mai da te hanno meritato il guiderdone di cosi enorme ingiuria, il premio di tanta