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ho cavate dalle azioni di alcuni prencipi — che se Vostra Maestá mi dará licenza nominarò in questo luogo, — de’ quali è pena la vita dir male, qual giustizia, qual ragione vuole ch’essi che hanno inventata l’arrabbiata e disperata politica scritta da me, sieno tenuti sacrosanti, io che solo l’ho pubblicata, un ribaldo, un ateista? Ché certo non so vedere per qual cagione stia bene adorar l’originale di una cosa come santa e abbruciare la copia di essa come esecrabile, e come io tanto debba esser perseguitato, quando la lezione delle istorie, non solo permessa ma tanto commendata da ognuno, notoriamente ha virtú di convertire in tanti Macchiavelli quelli che vi attendono con l’occhiale politico. Mercé che non cosi semplici sono le genti, come molti si dánno a credere; si che quei medesimi che con la grandezza degl’ingegni loro hanno saputo investigare i piú reconditi secreti della natura, non abbino anco giudicio di scoprire i veri fini che i prencipi hanno nelle azioni loro, ancor che artifici grandissimi usino nell’asconderli. E se i prencipi per facilmente, dove meglio lor pare, poter aggirare i loro sudditi, vogliono arrivare al fine di averli balordi e grossolani, fa bisogno che si risolvino di venire all’atto, tanto bruttamente praticato da’ turchi e dal moscovita, di proibir le buone lettere, che sono quelle che fanno divenir Arghi gl’intelletti ciechi; ché altrimente non conseguiranno mai il fine de’ pensieri loro. Mercé che l’ipocrisia, oggidí tanto famigliare nel mondo, solo ha la virtú delle stelle d’inclinare, non di sforzare gl’ingegni umani a creder quello che piú piace a chi l’usa. — Grandemente si commossero i giudici a queste parole, e parea che trattassero di rivocar la sentenza, quando l’avvocato fiscale fece saper loro che il Macchiavelli per gli abbominevoli ed esecrandi precetti che si leggevano negli scritti suoi, cosi meritamente era stato condannato, come di nuovo severamente doveva essere punito per esser di notte stato trovato in una mandra di pecore, alle quali s’ingegnava di accommodare in bocca i denti posticci di cane, con evidente pericolo che si disertasse la razza de’ pecorai, persone tanto necessarie in questo mondo, i quali indecente e fastidiosa cosa era che da quello scelerato fossero posti in pericolo di