Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso I.djvu/325

RAGGUAGLIO LXXXVII La serenissima reina d’Italia, dai piú segnalati suoi prencipi e dalla stessa maestá di Apollo strettamente essendo pregata a scordarsi dell* ingiuria fattale da quei capitani italiani che in aiuto delle straniere nazioni le avevano armato contro, niega di volerlo fare. Non ha dubbio alcuno che tra i piú maravigliosi palagi che si vegghino in questa corte di Parnaso e per magnificenza di edificio ottimamente inteso e per ricchezza di superbi ornamenti, anco per testimonio dello stesso Vitruvio, è quello ove la serenissima reina d’Italia fa la sua residenza. In questo, tra le altre maraviglie degne di stupore e che altrui danno sommo diletto, è il cortile simile ad un anfiteatro d’immensa grandezza, ove per particolar prerogativa di merito grandemente segnalato, di beneficio infinitamente gradito, a capo di lui si vede la mirabilissima statua equestre della reina d’Italia di finissimo oro, dedicata al gran Belisario greco; quella di Narsete, anch’egli greco, la quale fu eretta appiè del cortile, e che a perpetua gloria di lui dalla medesima reina gli fu eretta, per la segnalata offesa che ella da lui ricevette poi, cosi bruttamente in piú parti spezzata si vede gettata a terra e vilipesa, che ove prima, con onorata invidia di personaggi grandi che continuamente la contemplavano, serviva per altrui ricordare il merito del valore di quel gran capitano, ora mostra la vergogna di colui che per rabbia di sdegno privato ha profanato merito tanto grande e oscurata gloria tanto degna di essere invidiata. Nella facciata poi di cosi mirabil corte posta alla man destra, dal famosissimo Apollo e da altri piú eccellenti pittori dal naturale si veggono dipinti i volti di quei famosi capitani italiani che con le armi e col sangue loro dalla servitú de’ barbari avendo o difesa o liberata l’Italia, dalla grata patria hanno ricevuto l’onore della fama eterna; e nella facciata dello stesso cortile posta alla man sinistra, a perpetua vergogna degli uomini ingrati alle infami forche per i piedi si veggono appesi quei capitani italiani, che