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RAGGUAGLIO LXXIII I virtuosi d’Italia fanno istanza appresso Apollo che la bellissima lingua italiana sia abilitata a trattar cose di filosofia, e sono ributtati. Ancor che siano passati molti anni da che i letterati italiani fecero gagliardissima istanza a Sua Maestá, che si degnasse di abilitare la bellissima lingua italiana a trattar cose di filosofia; e ancor che appresso lui abbiano adoperati i piú efficaci mezzi che giammai siano stati possibili, Apollo nondimeno costante mente ha sempre negato il volerlo concedere, affermando che le nobilissime scienze tanto erano tenute in pregio, quanto venivano trattate con le due fecondissime lingue greca e latina: perché in infinito appresso tutte le nazioni sarebbe divenuta vile l’augusta metafisica e le altre piú sovrane scienze, se quegli ammirandi secreti, trattati in lingua italiana, fossero stati comunicati fino agli osti e ai pizzicaruoli ; oltreché, quando si fosse permesso che tutte le piú illustri scienze si fossero potute scrivere con la lingua italiana, si correva evidente pericolo che tra il genere umano affatto si perdesse quella nobilissima lingua latina, nella quale confessavano tutti esser riposta la vera maestá del ragionare e del scriver elegante. Per questa ragione addotta, gl’italiani non solo non si quietarono, ma con nuove e gagliardissime istanze tanto ardenti si mostrarono nel desiderio loro, che parea che Sua Maestá inclinasse a dar loro soddisfazione; quando tutte le piú illustri scienze, dubitando di qualche risoluzione che loro desse poco gusto, dissero a* letterati italiani che si quietassero: percioché in modo alcuno non volevano ridursi alla vergogna di esser trattate con le insipide circonlocuzioni italiane, ma che volevano esser disputate co’ loro ordinari termini latini. Esarse allora il nobilissimo ingegno di Alessandro Piccolomini, e liberamente disse che i filosofi greci e latini erano pazzi e ignoranti, se si davano a credere che gli scrittori italiani tanto poco pratici fossero nelle buone lettere,