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RAGGUAGLIO IV Michelangelo Buonaroti, mentre copia la bruttissima facciata dell’abitazione di Anneo Seneca, da Pierio Valeriano vien domandato perchè egli ciò faccia; e il Buonaroti li rende la cagione. Ancorché l’abitazione dell’eccellentissimo Anneo Seneca, per amenitá di sito, per bellezza di giardini, per abbondanza di fresche e limpidissime acque, per copia di fontane, per moltitudine di appartamenti, ottimi la state e il verno, e per ogni piú esquisita dèlizia che sappia immaginarsi l’umana commoditá, in tutte le sue parti possa esser paragonata alla famosa casa d’oro di Nerone, la facciata nondimeno di lei molto è simile ad un fenile ruinoso, ad una stalla da mulattieri; e perché l’altra mattina il celeberrimo Michelangelo Buonaroti in una gran tavola esquisitamente copiava il disegno di lei, Pierio Valeriano, che passando per quella contrada molto rimase maravigliato che un architetto di tanta eminenza gettasse il tempo nel copiar cosi brutta sporcizia, chiese al Buonaroti che volesse dirli che cosa di singolare egli vedeva in quella facciata, che meritasse la fatica del pennello di un suo pari. Lo stesso Pierio mi ha riferito che Michelangelo gli rispose queste formali parole: — Signor mio, in questa facciata, che a voi tanto par sporca, gl’intendenti dell’arte cosi compiutamente scorgono gli ordini tutti dell’architettura dorica, ionica, corinzia e composta dell’essere e non parere, che, per opinione anco dello stesso Vitruvio, per l’ottavo merita di esser aggiunta ai sette miracoli del mondo. Il mio virtuosissimo Giovangirolamo Acquaviva, duca d’Atri, mi ha comandato che li cavi la copia che vedete, e mi ha detto che vuol inviarla a Napoli ad alcuni baroni di quel regno suoi amorevoli, i quali, impazziti nella vanitá di parer quei che non sono, hanno somma necessitá di oculatamente veder nel disegno di questa facciata come siano fatte le cose degli uomini saggi, che sono e non paiono.