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egli con la spada, che aveva in mano, della vittoria e della vendetta con buona ragion di guerra averebbe potuto assicurarsi della vita da lui, che nondimeno, piú usando la clemenza che il giusto rigore, con tanta schiettezza e candidezza di animo gli perdonò quella ingiuria, che, dal cuore di qualsivoglia altr’uomo sarebbe stata indelebile, che, come se le offese gravi fossero stati benefici immensi, l’odio rivoltò in amore, la vendetta nella grazia: e il tutto con tanta svisceratezza di animo, che come dilettissimo figliuolo nel testamento l’aveva nominato suo erede. Magnanimitá che al popolo romano tanto piacque, che dopo la sua uccisione prepose la vendetta di tanta ingraditudine al beneficio della libertá che in quella occasione facilmente averebbe potuta ricoverare. E che se la vii plebe, che piú suol muoversi per interessi vili che per spiriti generosi, tanto detestò l’ingratitudine di Bruto, quanto maggiormente lo stesso Bruto, che aveva ricevuto il beneficio, doveva averla in orrore? E che se quella, che contro lui usò Bruto, non era spalancata e vergognosissima ingratitudine, egli non sapeva qual altr’uomo meritasse di esser chiamato ingrato; ma che era forzato credere che l’ingratitudine fosse un nome vano in astratto, che non si trovasse in concreto. Dal manifesto di Cesare sentendosi Bruto punger tanto nel vivo dell’onore, incontinente con una sua scrittura che mandò fuori, gli rispose che, giammai non avendo egli verso Cesare demeritato, per conseguenza ancora non poteva riconoscer per beneficio il perdono ch’egli diceva di avergli dato per avergli armato contro: perché quel cittadino che, per difender la patria libera dal tiranno contro lui impugnava le armi, come colui che faceva quello che gli si conveniva e che era strettissimo suo debito, in tanto non demeritava, che anzi dallo stesso nemico doveva esser ammirato, non che lodato. E che Cesare, dopo la vittoria ch’egli ebbe a Farsalia, non, come egli grandemente si diede a credere, si obbligò quelli a’ quali donò la vita; mercé che solo colui faceva acquisto degli animi de’ suoi nemici, che loro perdonava le ingiurie ricevute non le fatte. E che se i falli, non i meriti, avevano bisogno di esser perdonati, verissimo era ancora che quelli, che per la difesa della libertá romana vestirono le armi, dovevano