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RAGGUAGLIO LXXI In un congresso di personaggi grandi Cesare avendo tassato Marco Bruto d’ingrato, cartellano insieme. Talmente vivo si è mantenuto sempre l’odio acerbissimo che regna tra Cesare il dittatore e Marco Bruto, che, per molto che vi si sieno adoperati i primi soggetti di questo Stato, giammai non è stato possibile che segua tra essi la riconciliazione. È ben vero che, per non dar disgusto ad Apollo, amendue hanno avuta l’avvertenza di fuggir anco l’incontrarsi per le strade, non che il trattare insieme. Ma la fiamma dell’odio che nel petto di un uomo appassionato si trova rinchiusa, con lunghezza di tempo fa bisogno che svapori alla fine e prorompa negl’incendi grandi. Questo si dice, perché in un congresso che l’altro giorno si fece di alcuni principali soggetti di questo Stato, tra’ quali si trovava anco Cesare, non fu possibile indur Bruto a contentarsi di ritirarsi in disparte; perché quell’ ingegno intrepido e sopra ogn’altro uomo di animo grandemente altiero, non volle parere di cedere per viltá di animo la piazza a quel suo capitalissimo nemico. In quel ragionamento dunque Cesare, se bene con parole assai ricoperte, punse Bruto tassandolo d’ingrato; e come accade degli animi mal affetti, che le parole anco dubbie interpetrano in mala parte e le picciole ingiurie stimano offese insopportabili, Bruto arditamente smentí Cesare, e nel tempo medesimo accompagnò la mentita col suo necessario correlativo di por mano al pugnale. Allora Cesare, tutto infuriato, come arrabbiato leone si avventò addosso di Bruto; e per certo scandalo molto grave sarebbe seguito, se que’ prencipi, che erano presenti, non si fossero traposti spartendo la quistione. Il giorno poi seguente Cesare con magnifiche parole contro Bruto pubblicò un pungentissimo manifesto, nel quale si diceva esser noto al mondo tutto che nella guerra civile non altro senatore egli trovò, che anco piú dello stesso Pompeo gli si mostrasse crudel nemico, di Marco Bruto: e che se bene