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schiena, col qual colpo da traditore egli rimase vituperato. Quanto piú il poeta venosino faceva cuore e riscaldava l’animo di Giovenale, tanto piú in lui cresceva la timiditá. Giá tra i virtuosi di modo si era sparsa la nuova di questa disfida, ch’ella fino giunse agli orecchi di Apollo; il quale ne senti gusto particolare, perché il sommo diletto di Sua Maestá tutto sta posto nel veder due letterati arrabbiatamente cimentarsi insieme e darsi virtuose ferite nella riputazione: percioché a sangue freddo i virtuosi per lo piú parlano e scrivono insipidamente, ma nel calor dello sdegno, nell’ardor della collera, per difesa della loro riputazione e per acquistar gloria, fanno cose maggiori dell’ingegno umano. Onde avendo risaputa la timiditá di Giovenale, in grandissima fretta lo fece chiamar a sé, e con acerbe parole gli rimproverò la sua viltá, e li raccomandò la riputazione della satira latina. Allora Giovenale in sua difesa cosi disse a Sua Maestá: — Sire, 10 ho il medesimo cuore che sempre, né temo l’incontro di diece poeti satirici latini; supplico Vostra Maestá a ricordarsi che l’eccellenza di tutta la poesia satirica sta posta non nell’aver ingegno ardito, spirito vivo, talento maledico, sali acuti, facezie graziose e motti pronti, ma nella qualitá deiretá nella quale altri nasce: perché ne’ secoli grandemente corrotti sopramodo feconde sono le vene de’ poeti maldicenti, e l’etá mia punto non può paragonarsi con la moderna, tanto peggiorata, infurbita, intristita. Se 11 Berni comparisse nell’arringo, e con la lancia de’ vizi moderni, ignoti all’etá mia, mi giostrasse, non mi gettarebbe egli di sella, e a gambe levate non mi cacciarebbe fuori dello steccato? — Si quietò Apollo per questa risposta, e dichiarò che, se ben Giovenale cagliava, non ci rimetteva dell’onore, né faceva azione indegna di onorato cavalier poeta; perché non temeva l’ingegno del Berni, ma i suoi tempi corrotti, troppo disuguali da quelli di Giovenale.