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RAGGUAGLIO LX Giovenale rifiuta la disfida fattagli da Francesco Berni di seco cimentarsi nella poesia satirica. Sotto il portico de’ ginnasi poetici pochi giorni sono alcuni poeti latini e italiani facevano un virtuosissimo parallelo tra la poesia italiana e latina, quando a Lodovico Ariosti parendo che i poeti latini, di soverchio esaltando le cose loro, troppo invilissero la poesia italiana, disse che gl’ italiani cedevano al verso eroico, grave per la maestosa lingua latina, pomposo e sommamente risonante per Teccellenza della legatura de’ dattili con gli spondei: ma che nella poesia lirica era d’opinione che piú tosto si desse uguaglianza che superioritá; ma che nella satira gl’italiani tanto si erano avanzati, che ne’sali delle cose piacevoli, nella mordacitá delle materie gravi, nella facilitá di spiegar i concetti loro di gran lunga aveano superati i latini. Malamente dai latini fu udito il parer dell’Ariosti; e in difesa loro dissero che non sapeano vedere con qual fondamento i poeti italiani nella poesia satirica tanto presumessero degl’ ingegni loro, non trovandosi tra essi soggetto alcuno che meritamente potesse paragonarsi a Giovenale, e che gli desse il cuore di stare a fronte a Persio. A questo ragionamento si trovava presente Francesco Berni; il quale, nella satira avendo trapassati i termini tutti della piú mordace maldicenza, anco allo stesso dicacissimo Aretino co’ suoi taglienti versi avea date ferite tali, che nella faccia, nel petto e nelle mani ne portava vergognosi fregi. Costui disse a que’ poeti latini che rispetto a lui Giovenale nella satira era un ignorante; e che quella veritá che diceva, avrebbe sostentata in un campo franco, in una macchia sicura, al primo, al seconda assalto e al terzo sangue, non solo a Giovenale, ma ad ogn*altro virtuoso poeta satirico, ancor che avesse avuto il vantaggio del commentatore. Non può dirsi il sdegno che le parole del Berni cagionarono in tutti i poeti latini; i quali, per rintuzzar la