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spensa di quel fecondissimo ingegno abbia potuto cavarsi l’inesausta moltitudine di tanti elegantissimi concetti, conditi con le piú eleganti frasi e modi soavissimi di dire. Ma in quelle allegrezze, in que’conviti celebrati con tanta universal soddisfazione, alcuni furbacchiotti poeti ruppero lo scrigno piú secreto del Tasso, ove egli conservava le gioie delle composizioni sue piú stimate, e ne rubarono VAminta, la quale poi si divisero tra essi: ingiuria, che tanto trafisse l’anima del Tasso, che gl’inamarí tutte le sue passate dolcezze; e perché gli autori di si brutto furto subito furono iscoperti, e dagli sbirri fu data loro la caccia, essi, come in sicura franchigia, si ritirarono nella casa dell’Imitazione: onde dal bargello di espresso ordine di Apollo furono subito estratti e vergognosamente condotti prigioni. E perché ad uno di essi fu trovato addosso il prologo di essa pastorale, conforme ai termini della pratica sbirresca, subito fu torturato e interrogato super aliis et complicibus\ onde il misero nella corda nominò quaranta poeti tagliaborse suoi compagni, tutta gente vilissima, e che, essendosi data al giuoco e a tutti i piú brutti vizi, non ad altro mestiere piú attendono, che a rubare i concetti delle altrui fatiche, facendo tempone, avendo in orrore il sudar ne’ libri e il stentar nei perpetui studi per gloriosamente vivere al mondo con le proprie fatiche. Il pretor urbano, usando contro questi ghiottoni il debito rigor delle leggi, li condennò tutti a troncar una capezza pegasea; e l’altra mattina nel fòro massimo piantati si videro molti patiboli: per lo numero de’ quali grandemente essendosi Apollo commosso, fece sapere al pretore che, sebbene quei ladroni meritavano l’ultimo supplizio, che però con pene straordinarie ma gravi ed esemplari i punisse tutti, perché allora che nelle forche si vedevano certe odiose stangate, ogni ancorché santissima giustizia era interpetrata enorme crudeltá; perché quelli meritavano il nome di onorati ufficiali, che si facevano conoscere oculati in proibire i delitti: ove i sitibondi del sangue umano mostravano di sentir gusto in far nelle piazze spessi spettacoli di forche, credendo gl’infelici di salir di condizione, quando si avevano acquistata fama di grandi impiccatori. T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso. 14