Pagina:Boccalini - Ragguagli di Parnaso I.djvu/209

gli uomini privati distinguono i figliuoli dai fratelli dalla nascita, i prencipi dall’etá; e sappi che quei saranno miei dilettissimi figliuoli, che mi nasceranno allora che io avrò cinquant’anni, e nella nativitá di questi mi contento che si faccino allegrezze straordinarie: perché quando ad un prencipe giovane, come son io, nascono figliuoli maschi, anzi per mestizia fa bisogno sonar le campane a morto, che le trombe per allegrezza: mercé che il prencipe, che piglia moglie nella sua giovanezza, pone se stesso nella difficultá di quella moltitudine di figliuoli, che è la vera pietra degli scandali in qualsivoglia Stato: cosa tanto vera, che chi regna sopra la terra non altra grazia maggiore può ricevere dal cielo, che un solo figliuolo maschio vitale; e oltre ciò quel prencipe al quale nascono figliuoli molto per tempo, non deve aver l’ambizione, che tanto è unita alla carnalitá di noi altri, di non voler, ancorché nonagenari, fino all’ultim’ora della vita abbandonar la dominazione. Mercé che, cosi come i padri hanno il fomite di morire comandando, cosi i figliuoli, allora che arrivano ad una certa etá, non hanno pazienza di poter aspettare che il frutto della loro signoria si maturi con la morte dei padri loro: perché molti si sono trovati figliuoli dei re grandi, che accecati dalla gola di signoreggiare, piú tosto hanno voluto por la salute loro a sbaraglio per mangiare l’agresta il giugno, che aspettare che l’uva si maturi il settembre. — Se questo è — disse allora il maestro di casa, —son forzato stimar deploranda quella condizione de’ prencipi, che noi privati tanto invidiamo. — Sappi — soggiunse allora il prencipe, — che quando il figliuolo che mi è nato ora, sará arrivato all’etá di venti anni, e che non li darò in mano l’assoluto governo di questo mio principato, se mi tramerá novitá alcuna contro la vita o lo Stato, in quell’eccesso piú avrò errato io che egli. Ed è chiara la ragione; percioché cosi sarebbe discortesia non rinunziargli allora il governo de’ popoli del mio Stato, come inumanitá grande sarebbe, se mangiando io ad una lauta mensa, allora che lo vedessi star sopra la tavola in piedi arrabbiato di fame, non l’invitassi a mangiar meco.